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martedì 6 giugno 2017

Google: news su adblock su Chrome

La pubblicità è la prima fonte di guadagno per ogni l’azienda e sopratutto per quella di Google ma può diventare un problema in alcuni casi. Nel 2016 il software Ad Blocker Plus ha annunciato di aver raggiunto oltre 100 milioni di utenti attivi nel mondo.
Chrome potrebbe avere il suo ad-blocker, sia su desktop che su mobile (anche Safari su iPhone accetta estensioni per eliminare le pubblicità). Sarà un'opzione che l'utente dovrà attivare manualmente e, una volta fatto, consentirà di non riprodurre tutti i banner considerati "inaccettabili" attraverso le definizioni del gruppo Coalition for Better Ads. Fra quelli che verranno eliminati ci saranno i pop-up, i video in auto-play, i banner a pieno schermo, e altri.
La nuova opzione chiamata “Funding Choises” permette di proporre agli utenti due alternative. Questi possono disabilitare il software che attualmente utilizzano o pagare per vedere i contenuti che desiderano senza spot invasivi. Al momento la funzione è disponibile in tutto il Nord America, Regno Unito, Germania, Australia e Nuova Zelanda ma se la sperimentazione andrà come spera Google è probabile che verrà estesa anche ad altre nazioni. Lo stesso Sridhar Ramaswamy, Vice President di Ads&Commerce di Google, ritiene che “questi cambiamenti garantiscano a tutti i creatori di contenuti, grandi e piccoli, di continuare ad avere una maniera sostenibile per finanziare il proprio lavoro con la pubblicità online”. Molti editori quindi sono felici del cambiamento ma allo stesso tempo sono dubbiosi riguardo ai criteri scelti da Google per determinare se un annuncio sia da cancellare o meno.

venerdì 19 maggio 2017

Google nacque 20 anni fa

Questo articolo trovato nel web, proprio attraverso Google, è molto interessante ed evidenzia come l'Italia ancora una volta abbia avuto un ruolo fondamentale nella nascita di qualcosa di nuovo...

Oggi voglio raccontarvi come è nata l’idea di Google. Perché è accaduto esattamente venti anni fa. Tra il 7 e l’11 aprile del 1997. A Santa Clara, in Silicon Valley, c’era una conferenza sul web, che era appena partito peraltro. A un certo punto prese la parola un giovane matematico italiano, Massimo Marchiori, ricercatore all’università di Padova. Espose la sua teoria su come poteva funzionare un motore di ricerca per mettere ordine in quell’universo in esplosione di siti e pagine che era il web. Il meccanismo individuato da Marchiori era semplice eppure geniale. Oppure geniale proprio perché semplice. In testa ai risultati il motore di ricerca avrebbe messo i siti web più linkati dagli altri, perché il link, il collegamento messo da altri, indicava il fatto che fossero migliori. Dopo il suo discorso lo avvicinò un giovane ricercatore americano, Larry Page, si fece spiegare meglio l’idea e disse che avrebbe provato a realizzarla.


Marchiori tornò in Italia, chiese un finanziamento  e la sua università rispose di no: avrebbe piuttosto investito in una ricerca sulla storia della metallurgia. Page, assieme al suo compagno di studi, Sergey Brin, tornò a Stanford dove studiava, chiese un finanziamento, ottenne 100 mila dollari l’anno dopo nacque Google. Ve ne parlo oggi perché sono trascorsi venti anni esatti. Vent’anni in cui Google ha cambiato il mondo diventandone uno dei padroni. Nel frattempo Marchiori ha continuato a fare ricerca e si è messo ad insegnare matematica, qualche anno fa ha provato senza successo a lanciare un motore di ricerca alternativo a Google, Volunia, e ora lancia Negapedia, un nuovo sito che racconta il lato nascosto di Wikipedia, ovvero evidenzia tutte le battaglie che si fanno su ogni singola voce dell’enciclopedia più famosa del mondo che come è noto è scritta dagli utenti spesso attraverso mediazioni infinite. E’ interessante il lavoro che svolge l’algoritmo di Marchiori perché mette in luce il fatto che la verità non è un dogma assoluto ma si raggiunge attraverso un confronto a volte acceso alla fine del quale le opinioni perdono e vincono i fatti. Ma la verità è che venti anni fa l’Italia avrebbe potuto sviluppare Google e invece no: adesso al massimo sappiamo tutto della storia della metallurgia.


Artcolo originale sul sito www.agi.it

martedì 4 aprile 2017

Conoscere il SEO per ottimizzare un sito web

Per scalare le posizioni sui motori di ricerca va pianificata una campagna SEO, bisogna dunque pensare a tutta una serie di comportamenti che migliorino il posizionamento del sito web.


Chi pratica questo mestiere deve sapere usare bene il linguaggio del web (html, Css etc) ma essere soprattutto attento alle tendenze social, il suo lavoro oggi non si riduce solo all’indicizzazione di un sito web sui motori di ricerca, non è solo una questione di parole chiave di cui, peraltro, già se ne occupano i temutissimi robot.
Per capire come si è evoluta questa professione dobbiamo partire dalla preistoria del web. Una volta c’erano i web designer che si occupavano soprattutto della grafica del sito web, il loro compito era essenzialmente curarne il make up, evoluzione di questa figura è lo Specialista SEO, colui che si occupava di ottimizzare il sito per trovare clienti, il suo compito era pensare ad aumentare gli accessi puntando sulle keywords. Oggi la professione si evolve ulteriormente. La SEO da sola non serve a molto, così nasce il Consulente di web marketing che oltre alla SEO si occupa di creare un blog, curare le call to action e raccogliere le e-mail degli utenti. Dunque, una volta condotte le persone sul proprio sito, bisogna usare le tecniche dell’inbound marketing, cominciare a raccogliere informazioni su di loro, sulle abitudini di navigazione, seguire le interazioni degli utenti con i contenuti del sito, con le e-mail delle aziende, notare come rispondono alle call to action. Questo consente al marketing di mandare i giusti input al commerciale che si troverà a gestire un contatto di cui conosce i problemi, gli interessi, le passioni e le abitudini.

Con l’inizio del 2017 si cominciano già a testare i nuovi trend che caratterizzano i cambiamenti per i motori di ricerca e per chi fa web marketing. Innanzitutto, si stabilizza le tendenza del 2016 per quanto riguarda la SEO e cioè la ricerca semantica, l’innovazione di Google Amp (l’acceleratore di pagine sul mobile), il Rank Brain di Google (il sistema di intelligenza artificiale dei motori di ricerca per acquisire conoscenze e produrre i risultati delle ricerche). La tendenza del 2017 è dunque sempre più legata all’indicizzazione via mobile dopo un ventennio in cui si preferiva il desktop di pc e notebook. Questo è un riflesso delle abitudini degli utenti che sono sempre più attivi su smarthphone e tablet piuttosto che su pc e tablet. Questa è la generazione del mobile che produrrà consumatori che adoperano per qualsiasi cosa solo lo smartphone o il tablet per qualsiasi azione. Si confermano trend assodati, come l’importanza dei contenuti di qualità a cui un sito web deve prestare tantissima importanza. La tendenza naturalmente la detta Google che preferisce contenuti originali, ben scritti ed interessanti con informazioni veritiere (il cosiddetto Google Panda). Si conferma anche per quest’anno la necessità di avere un profilo di backlinks pulito e naturale, il noto Google Penguin.

Ottimizzazione On Site e Off Site. La prima fa riferimento all’ottimizzazione di un sito nel suo aspetto interno. Si intendono tutti quegli interventi che attengono all’architettura del sito ed è relativo all’ottimizzazione delle singole sezioni e del codice che va ripulito di tutto quello che non serve, al migliore utilizzo dei link interni, alla cura delle immagini. Per quanto riguarda l’ottimizzazione esterna, si tratta di agire su elementi esterni come il server che ospita il sito, dipende dall’autorevolezza del dominio, dal nome scelto fino a cercare d’incrementare la popolarità del sito curando i social media e link building (backlinks). Per quanto riguarda i social media bisogna puntare all’aggiornamento degli account in modo professionale coinvolgendo gli utenti ad azioni come i like, i commenti, le condivisioni. I backlinks sono i link che da altri siti puntano al nostro, importante è che siano siti di valore, che decidono di mettere un link dopo averlo visionato e trovato interessante il nostro sito al punto da segnalarlo ai propri lettori. I backlinks servono a conquistare i motori di ricerca.
Ottimizzare il testo dei propri contenuti secondo le regole del SEO, naturalmente la qualità è la ricetta vincente. Inoltre, è bene affidarsi a un copywriter di professione il cui lavoro è proprio la scrittura ottimizzata per la SEO. A questo proposito, è bene scegliere la parola chiave in base a cui posizionare un dato articolo. Occorre fare un’analisi sulle keywords più ricercate, può essere utile utilizzare lo strumento di Google Trend. Occorre scegliere la keyword principale (la tag H1 da impostare nel codice HTML) e poi un contorno di parole chiavi che arricchiscono il testo e renderlo quanto più bello possibile. Avere cura che i Meta Title non siano più lunghi di 55, massimo 60 caratteri e inserirvi la keyword principale, se il titolo è più lungo di 60 caratteri Google lo taglia e nella Serp appariranno i puntini. La descrizione non deve superare i 156 caratteri e deve essere scritta per invitare il lettore a leggere l’intero testo. L’articolo dovrebbe avere un minimo di 300 parole, nel testo la parola chiave deve ricorrere con una percentuale dell1%. Nell’articolo è bene inserire una foto coerente con il contenuto, l’immagine deve avere un titolo e un testo alternativo che descriva il contenuto dell’immagine, ottimo se s’inserisce un testo in linea con la keyword principale. Attenzione al formato, dimensioni 5000x4000 pixel sono inutili, meglio risparmiare in byte, per la risoluzione 72DPI può andare più che bene. L’articolo va preferibilmente concluso con un invito all’azione, con cui si chiede ad esempio ai lettori di condividere l’articolo sui social media se lo trovano di proprio interesse. Per verificare velocemente come un dato testo viene recepito da un algoritmo può essere utile usare un tool free come Word Tree .

martedì 2 febbraio 2016

Google sperimenta droni per Internet 40 volte più veloce del 4G

Reti dati via cellulare fino a 40 volte più veloci del 4G. Sarebbe questo il piano che Google sta coltivando usando una infrastruttura assolutamente originale: una costellazione di droni. A scoprire l’ennesimo progetto innovativo, dopo il drone a rotelle è il giornale britannico theguardian.
La sperimentazione di Skybender, nome in codice della iniziativa, sarebbe in corso in New Mexico. Qui Big G, in assoluta (o quasi…) segretezza avrebbe allestito una sorta di campo volo con piccoli velivoli simili a quelli semi professionali che vediamo in vendita su numerosi sito on line; la differenza starebbe negli apparati che sollevano trasmettitori  ad onde millimetriche ìn grado di coprire un’area con un segnale ad elevate prestazioni dati: nell’ordine gigabits di dati al secondo, fino a 40 volte, appunto, quelli dei sistemi 4G LTE odierni. L’enorme vantaggio di questo nuovo sistema, spiega la fonte, è l’accesso ad un nuovo spettro di frequenze, dato che quello cellulare esistente è sovraffollato.

Il sistema SkyBender è attualmente in fase di sperimentazione anche con un “aereo opzionalmente pilotato” chiamato Centauro, oltre che su droni alimentati ad energia solare realizzati dal team Google Titan. Tale progetto, inoltre, fa parte del poco conosciuto team di Google Access, che comprende anche il progetto Loon, il cui scopo è quello di fornire internet senza fili utilizzando palloni galleggianti non alimentati attraverso la stratosfera.

Ad ogni modo, anche se è certamente una delle prime volte che si parla di tale tecnologia, Google non è la prima società a lavorare con droni e tecnologia a onde millimetriche. Già nel 2014, Darpa, il braccio di ricerca delle forze armate statunitensi, ha annunciato un programma chiamato mobile Hotspot per lanciare una flotta di droni in grado di fornire segnali di rete con velocità di un gigabit al secondo, limitatamente come supporto alle truppe che operano in aree remote.

E’ chiaro, però, che il progetto di Google sarebbe predestinato ad un utilizzo civile, lontano quindi dal solo mondo militare. Per di più, a voler essere ottimisti, si stima che i primi voli dei nuovi droni 5G potrebbero partire già nel 2018, anche se Google deve superare difficoltà non irrilevanti. Ad esempio, se è vero che le onde millimetriche sono capaci di portare una grande quantità di dati, hanno una copertura d’area din 4 volte inferiore a quella del 4G e quindi in droni devono indirizzare in maniera molto precisa le onde.